IDEOLOGIA

 

 

Francisco Goya

Saturno divora i suoi figli

 

L'ideologia divora l'utopia

 

 

 

 

Libellus vere aureus, nec minus salutaris quam festivus de optimo rei publicae statu, deque nova insula Utopia; così Thomas More, filosofo, lord cancelliere del Regno d'Inghilterra e precettore del re Enrico VIII intitolava la sua principale opera, a noi giunta e nota come "Utopia" ( senza luogo), l'isola felice dove il sistema politico, (si badi bene una repubblica e non un regno), garantiva a tutti gli abitanti felicità, giustizia, benessere, pace, serenità, rispetto. Insomma uno stato di grazia in terra, uno stato modello da cui i governanti contemporanei avrebbero dovuto trarre ispirazione nell'esercizio del potere se veramente avessero avuto a cuore le sorti del popolo.

 

Thomas More

 

Lo stesso More, forse per non urtare la suscettibilità del re e per evitare di fornire pretesti ai propri nemici, felici di vederlo in disgrazia per prenderne il posto, conclude l'opera sua dichiarandone la fantasiosità a fronte di una realtà che richiedeva l'esercizio del potere come strumento necessario a reprimere pochi per tutelare molti.

Quasi tutti i filosofi, sia prima di More che dopo, si sono cimentati nel prefigurare lo stato perfetto in accordo con il proprio sistema di pensiero. Quasi tutti hanno scritto di "politica", da Platone a Hobbes, da Seneca a Marx, da Agostino a Kant, tanto per citarne alcuni. Tutti hanno voluto esprimere con chiarezza la propria visione dello Stato ma tutti sono stati definiti spregiativamente, da uno di loro, "utopisti", inutili sognatori, interpreti vacui della realtà.

Karl Marx ha detto dell'inutilità della filosofia, dimentico di essere egli stesso filosofo e sognatore specie nel delineare le caratteristiche di uno Stato fondato sul principio dell'eguaglianza, diretto e gestito dalla "dittatura del proletariato", guardandosi bene dal definirsi a sua volta "utopista"

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Karl Marx

 

Talvolta alle persone capita di venir bonariamente etichettate "utopiste" quando sul lavoro o in famiglia o fra gli amici propongono un'idea nuova, controcorrente, inusuale, su come risolvere un problema o cambiare lo stato delle cose. Tanto meno bonario è il rimbrotto quanto più quell'idea utopica viene percepita come una vera e propria minaccia da chi ha sempre "fatto così" o "pensato così" e, in quella situazione di apparente equilibrio, il suo mondo è rimasto in una condizione di rassicurante stabilità.

Le idee camminano sulle gambe degli uomini ( almeno così era quando i mezzi di comunicazione erano il passa parola, la staffetta o il cavallo). Oggi viaggiano alla velocità della luce. La più parte di loro si perde nel buio dell'oblio o nei meandri del web; altre, oggi come allora, prendono forza, divengono dirompenti, frantumano vecchi equilibri. Penetrano nelle carni di un mondo obsoleto e lo rivitalizzano. E' un meccanismo che ha sempre caratterizzato la storia dell'umanità e la lotta per il potere fra chi non lo detiene e chi lo esercita di fatto.

Visionari, sognatori, utopisti sono definiti dai gruppi sociali dominanti quei pensatori che interpretano le esigenze dei gruppi sociali assoggettati. Così le loro idee, nella migliore delle ipotesi, vengono bollate come utopiche, irrealizzabili, assurde, pericolose. Le idee di Gesù di Nazareth, dapprima considerate il prodotto di un galileo visionario, a poco a poco sono state percepite come pericolose dal potere del Sinedrio. Sappiamo tutti come è andata a finire. L'impero romano ha fatto del suo meglio per reprimerle attraverso una sistematica persecuzione. Infine è stato costretto ad incorporarle per rivitalizzare lo Stato ma, a quel punto, le idee utopiche di Gesù si erano già trasformate in un vero e proprio corpus ideologico, funzionale al potere stesso.

Lo stesso meccanismo si ripete in tutti quei momenti in cui la storia dell'umanità attraversa una fase di squassante crisi alla ricerca di un nuovo equilibrio, di un nuovo ordine, che consenta la sua prosecuzione verso il futuro.E' stato così per la rivoluzione francese del 1789 e per quella bolscevica del 1917. In entrambi i casi le minoranze rivoluzionarie, espressione dei gruppi sociali esclusi dalla gestione del potere politico, hanno cercato la legittimazione intellettuale alla propria rivolta nella nobiltà del pensiero filosofico e sociale di uomini come Voltaire e Rousseau in Francia e di Hengels e Marx in Russia. All'indomani della presa del potere, quelle idee utopiche si sono trasformate in ideologia, sorta di menzogna collettiva finalizzata a legittimare il nuovo sistema di potere non diverso, se non peggiore, dal precedente.

Non più l'idea, il sogno e l'aspirazione permangono come sincero substrato all'esercizio del potere, bensì l'ideologia che dell'idea originaria rappresenta la sua trasformazione in strumento di gestione del consenso del popolo. L'ideologia giustifica ogni azione dello stato e di chi lo rappresenta pur di garantire la permanenza al comando delle caste minoritarie che hanno fomentato e condotto le masse sulle strade della rivoluzione.

L'ideologia, in quanto giustificazione del potere, è la matrice di tutte le ambiguità, la madre di tutti gli equivoci; avvolge la mente con un pesante velo che impedisce una chiara e veritiera percezione della realtà al punto da prevalere allorquando dovesse contrastare con la verità .

In ciò consiste l'aspetto ambiguo della parola "ideologia": la coscienza collettiva obnubilata dall'ideologia tende a ritenere che quest'ultima corrisponda al concetto di "idea" mentre, in realtà, essa coincide con un insieme di concetti mendaci e giustificatori utilizzato dal potere quale "instrumentum regni".